Aziende
Borsa: perché l’healthcare italiano non si quota
Sono ancora poche le aziende della salute che scelgono il mercato dei capitali per crescere. A frenare gli imprenditori è la paura di perdere il controllo societario. Ma il trend è in crescita e nel 2019 potrebbero arrivare altre due quotazioni. Dal numero 168 del magazine

Fatica a sbocciare l’amore tra le aziende healthcare italiane e la Borsa. Fino oggi sono soltanto 16 quelle ammesse ai listini in questo settore, un numero che non rispecchia il potenziale del comparto italiano, né valorizza le opportunità che derivano dalla quotazione. La buona notizia però è che il trend è in aumento: il 2017 e il 2018 sono stati anni record per piazza Affari e il settore della salute ha seguito la tendenza degli altri comparti industriali. Anche per questo ci si aspetta che la percentuale di aziende che sceglie la strada del mercato dei capitali, in futuro, possa crescere ulteriormente. A partire già dal 2019.
La situazione attuale
Dal 2000 a oggi l’ammontare raccolto dalle società quotate in ambito healthcare ha superato il miliardo di euro. Di questo miliardo, 820 milioni derivano da tradizionali operazioni di Ipo (Initial public offering), mentre altri 210 da business combination con tre Spac (Special purpose acquisition company). Dell’ammontare raccolto in questi anni ben 700 milioni sono stati utilizzati per finanziare la crescita delle imprese. L’ultima a sbarcare in borsa in ordine di tempo è stata Antares Vision (approdata su Aim – il mercato dedicato alle piccole e medie imprese – lo scorso 18 aprile) società attiva nel settore dell’ispezione visiva, mentre la prima è Recordati presente a piazza Affari dal lontano 1984. Secondo i dati forniti da Borsa italiana, le sei società (Health Italia, Pharmanutra, Kolinpharma, Fine Foods & Pharmaceuticals, Garofalo Healthcare, Antares Vision) quotate negli ultimi due anni, quelli più proficui per il mercato italiano, hanno raccolto in totale 250 milioni di euro, di cui 89 da operazioni di Ipo tradizionali e 170 milioni da business combination con una Spac. Di questi 250 milioni, la maggior parte (240) è stato utilizzato per finanziare la crescita. Nella classifica generale delle quotate, la più capitalizzata è Recordati (7,2 miliardi di euro), seguita da Diasorin (5 miliardi) e Amplifon (3,9 miliardi).
Lo stato di salute attuale delle quotate italiane, secondo l’ultima rilevazione effettuata da Borsa italiana, è buono. Nonostante il 2018 abbia fatto registrare un calo generale del mercato, dovuto a fattori congiunturali globali (conflitto Cina-Stati Uniti, Brexit, ascesa di governi populisti, ecc.) i valori delle azioni delle aziende healthcare del nostro Paese, a inizio 2019, sono tornati a salire. “La fine del 2018 è stato un periodo particolare per i mercati finanziari”, spiega ad AboutPharma Patrizia Celia, head of large caps, investment vehicles & market intelligence primary markets di Borsa italiana. “Non si tratta di un fenomeno italiano ma di una situazione di incertezza a livello mondiale. Tuttavia, nel 2019 gli azionisti si aspettavano un consolidamento dei fondamentali delle società, che in effetti è arrivato. Per questo motivo i titoli hanno ritracciato, recuperando di fatto le perdite subite nel secondo semestre del 2018. È il segnale del buono stato di salute delle nostre aziende in Borsa”.
Perché ci si quota poco in Borsa
Storicamente il ricorso al mercato dei capitali è visto con una certa diffidenza da parte delle aziende italiane. Per molti imprenditori viene considerato una sorta di perdita di controllo della propria azienda. Tale condizione è accentuata dalla preponderanza di un’imprenditoria di tipo familiare che domina lo scenario nazionale. In generale le piccole e medie imprese (e vale per qualsiasi settore industriale) devono scontare un certo grado di scetticismo culturale legato all’uso della finanza come leva strategica per la crescita. Mentre le più grandi, probabilmente, non ne intravedono vantaggi economici tali da spingerle a quotarsi.
“Non si tratta di un fenomeno isolato e circoscritto al mondo healthcare”, continua Patrizia Celia. “In Italia, diversamente da altri paesi, la cultura dell’equity è stata riscoperta da poco. Se guardiamo ai dati delle Ipo degli ultimi tre quattro anni vediamo come il 2017 e 2018 siano stati anni record per quanto riguarda le società quotate sui mercati. Nel farmaceutico, per esempio, le aziende vengono spesso associate al nome di una famiglia. In questo caso, per puntare alla quotazione serve superare alcune di quelle difficoltà tipiche di un “imprenditore familiare”, ovvero la potenziale perdita del controllo dell’azienda. Implicazione che poi non si verifica neanche con la quotazione ma rappresenta piuttosto un vero e proprio falso mito”.
Tuttavia ultimamente sono stati compiuti significativi passi avanti. La crisi finanziaria degli ultimi dieci anni ha fatto riscoprire alle imprese la strada della quotazione come principale alternativa al prestito bancario. Nel 2017 si sono quotate 39 aziende (di cui 2 healthcare) mentre 38 sono approdate in Borsa nel 2018 (due healthcare). Numeri che hanno portato piazza Affari a scalare posizioni nei ranking delle borse di tutto il mondo, per quanto riguarda il numero di quotazioni in quegli anni. Tale crescita è stata agevolata soprattutto dall’introduzione dei Pir (Piani individuali di risparmio) varati dalla legge di bilancio nel 2017 e che hanno portato liquidità significativa (circa 70 miliardi) sul mercato. “Il settore healthcare – prosegue Celia – sta seguendo quella che è la scia delle altre società che si avvicinano alla quotazione. I numeri secondo noi non esprimono al meglio le potenzia lità di questo settore, ecco perché ci aspettiamo in futuro una migliore rappresentazione rispetto a quella attuale. A cominciare già dal 2019: entro la fine di quest’anno, infatti, almeno altre due aziende del settore dovrebbero andare in quotazione”.
Perché farlo e quali sono i vantaggi
Lo storico relativo alle quotazioni testimonia che questo tipo di operazione finanziaria serve soprattutto a supportare la crescita di un’azienda. Sempre secondo i dati forniti da Borsa italiana, dei 70 milioni raccolti da Antares Vision 50 saranno utilizzati per l’aumento di capitale; stesso discorso per Garofalo Healthcare (64,5 in aumento di capitale su 64,5) e Fine foods & pharmaceutical (100 su 100), per citare le società che più di recente sono sbarcate a piazza Affari. “Bisogna tenere presente che lo strumento della quotazione in borsa è quello che più di tutti riesce a fornire capitale paziente, ma soprattutto ammontari importanti che difficilmente si riescono a raccogliere con altre forme, finalizzati a consentire veri e propri salti dimensionali”, sottolinea Patrizia Celia. “Inoltre la quotazione porta con sé grande visibilità: se ci mettessimo nei panni di una società piccola, ad esempio, grazie alla quotazione potrebbe rendersi visibile a livello internazionale e sviluppare nuove partnership. Senza dimenticare i vantaggi in termini di governance, perché la quotazione in borsa richiede capacità di lettura delle dinamiche di mercato e rendicontazione tempestiva, gestione equilibrata dell’azienda e dei suoi numerosi stakeholder, sempre con l’obiettivo di ottimizzare i risultati”.
In altre parole, la quotazione è uno stimolo per tutte le aziende. Perché da un lato serve a rafforzare la posizione finanziaria, in seguito all’aumento di capitale, garantendo così un piano di crescita aggressivo; ma dall’altro, lo status di quotata, permette di guadagnare credito nei confronti di interlocutori esteri, oltre ad attrarre figure manageriali che altrimenti difficilmente si interesserebbero a quella realtà aziendale.
Le iniziative per spingere la crescita
Per incentivare le aziende italiane a intraprendere un percorso di crescita (attraverso la quotazione ma non solo), negli anni Borsa italiana ha messo in atto una serie di iniziative. Tra le principali c’è Elite, un programma paneuropeo che intende supportare le piccole e medie imprese nella realizzazione dei propri progetti di crescita. Strutturato in tre fasi, il programma Elite comprende supporto accademico, coaching e accesso a una selezionata community internazionale di investitori, professionisti e imprese. Attraverso questo percorso, si cerca di avvicinare le aziende ai mercati di capitali migliorandone i rapporti con il sistema bancario e imprenditoriale.
Oltre al programma Elite, Borsa italiana ha attivato sul territorio una squadra di operatori di borsa “primary market” che ogni settimana si confronta con gli imprenditori italiani, per valutare concretamente la fattibilità di una quotazione in borsa per i singoli titoli. Senza dimenticare poi l’Italian equity week, la settimana dedicata alla quotazione realizzata dalla società di piazza Affari. Durante questo evento, le società partecipanti (quotate e non) sono coinvolte in incontri one-to-one con i principali investitori domestici e internazionali del mondo della finanza.
Un altro strumento di finanziamento per la crescita delle aziende è rappresentato dagli alternative investment fund. Tra questi stanno emergendo anche in Italia i cosiddetti fondi di corporate venture capital. Si tratta di fondi di investimento in capitale di rischio “sponsorizzati” da aziende del settore. Come i tradizionali fondi di venture capital, i cvc investono spesso nelle fasi iniziali delle vita di un’azienda, acquisendone una quota di minoranza, nella speranza di rivendere dopo qualche anno tale quota a valori superiori, garantendo un ritorno per gli investitori. La naturale evoluzione di questi fondi è la quotazione, anche se al momento si tratta di una prassi utilizzata molto più nei paesi anglosassoni. In ogni caso in Italia il mercato di riferimento per la quotazione di fondi e veicoli societari di questo tipo è il Miv (Mercato per gli investment vehicles). In Italia gli unici fondi di corporate venture capital nel settore healthcare sono attualmente gestiti da privati: Zambon (Zcube) e Chiesi (Chiesi Ventures).
Il sentiment delle aziende è positivo
Una testimonianza diretta sui benefici della quotazione arriva infine da Marco Ruini, Ceo di Bomi group e vice presidente di Confindustria Dispositivi Medici, con delega alla finanza. Bomi group è un’azienda italiana attiva nel campo della logistica del settore della salute. La società si è quotata nel 2015, sul segmento Aim Italia, raccogliendo 13,6 milioni di euro. Di recente è stata premiata come best Aim Esg (il riconoscimento rivolto alle pmi che si distinguono per l’attenzione ai temi ambientali). “Da membro di Confindustria e da imprenditore invito i colleghi a valutare con serietà l’ipotesi della quotazione in Borsa, avverte Ruini, perché potrebbero essere piacevolmente sorpresi. I vantaggi per noi sono stati significativi. A partire dal potenziamento delle relazioni con le grandi aziende, perché essere quotati ti qualifica quando ti presenti a certi tavoli. Inoltre, abbiamo introdotto un modello di governance più basato su best practice. Tali regole di gestione, inizialmente, vengono viste come un’ingessatura ma poi in realtà sono dei generatori di valore, con meccanismi decisionali molto chiari che rappresentano un vantaggio a lungo termine per un’azienda”. Sull’interesse nei confronti della quotazione da parte delle aziende italiane, Bomi è abbastanza ottimista: “Il sentiment delle aziende secondo me è positivo, c’è interesse crescente nei confronti della quotazione. D’altra parte, se penso al settore healthcare, mi vengono in mente solo casi di successo: Amplifon e Diasorin, solo per citarne alcune. Non sono molti i casi, ma comunque sono di successo, e questo alimenta un sentimento positivo. Lo strumento di quotazione è sicuramente una leva valida per la crescita, forse ci vuole ancora un po’ di tempo prima che esploda. Ma sono fiducioso per il futuro”.
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