Aziende
Sicurezza sul lavoro, il difficile percorso delle aziende pharma ai tempi di Covid-19
Dagli ostacoli della fase 1 fino al passaggio alla fase 2. Ripercorriamo le mosse di aziende, parti sociali e mondo industriale per la continuità produttiva garantendo la sicurezza dei dipendenti durante la pandemia. Dal numero 179 del magazine

C’è voluto lo sforzo congiunto di tutti gli attori del settore, per garantire la sicurezza dei lavoratori del mondo farmaceutico e dei dispositivi medicali, durante l’emergenza da Covid-19. Un comparto che di fatto non ha vissuto il passaggio dalla fase 1 alla fase 2, dato che gli impianti di produzione di pharma & device non hanno smesso di funzionare, nem meno durante il lockdown. Eppure le difficoltà non sono mancate, soprattutto all’inizio, quando parti sociali, aziende, dipendenti e rappresentanti dell’industria hanno dovuto trovare la quadra per adattarsi ai protocolli di regolamentazione, per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro.
Le prime criticità
Il primo vero ostacolo è contenuto in un passaggio del decreto “Cura Italia”. L’articolo 14 del dpcm di marzo, in sintesi, impediva di applicare ai dipendenti delle imprese che operano nell’ambito della produzione e dispensazione dei farmaci e dei dispositivi medici, l’applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva nei casi in cui fossero entrati in stretto contatto con casi confermati di malattia infettiva diffusiva. “Parificando settore farma ai servizi indispensabili – spiega Paolo Pirani, segretario generale di Uiltec – e con l’attuazione dell’articolo 14 del dpcm ‘Cura Italia’, si poteva temere che i lavoratori del nostro settore fossero costretti a lavorare anche in presenza di situazioni di rischio epidemico in azienda. Si tratta di una preoccupazione legittima che abbiamo manifestato, in maniera unitaria, con altri sindacati”.
E infatti con un comunicato congiunto, diffuso il 16 marzo scorso, Filctem Cgil, Femca cisl, Uiltec chiedono che “anche per i lavoratori del settore farmaceutico, dei dispositivi medici, della ricerca e della filiera integrata dei subfornitori, debbano valere le misure previste dal protocollo di sicurezza. L’articolo 14 della bozza del decreto “Cura Italia” impedisce ai lavoratori di questo settore la possibilità di essere in quarantena qualora venissero a contatto con un soggetto positivo, anche un famigliare. Di fatto, la loro assenza al lavoro verrebbe giustificata esclusivamente se si ammalano loro stessi”. E aggiungono: “sarebbero gli unici in Italia, nessuno è sottoposto a tali restrizioni nemmeno il personale medico e dell’ordine pubblico, è inaccettabile. Una lesione del loro diritto individuale alla salute, ma anche di quel diritto collettivo che è stato al centro di tutti i provvedimenti finora intrapresi dal Governo. Una norma così congegnata avrebbe l’effetto di favorire il contagio all’interno delle aziende”.
Il grido d’allarme dei sindacati non è ingiustificato. Tanto che proprio il 16 marzo, in uno stabilimento di Pfizer a Catania, muore un dipendente (addetto al controllo della documentazione) a causa del coronavirus. E circa un mese dopo, i positivi nella stessa sede sono già sei. “Nelle aziende in cui ci sono stati dei casi di Covid-19, si è cercato di seguire i protocolli come previsto dall’articolo 14” afferma Sergio Cardinali, membro della segreteria nazionale Filctem Cgil. “Alla fine, anche con margini di collaborazione e buon senso, siamo riusciti a gestire le situazioni”.
Gli interventi iniziali
Quando il virus ha cominciato a circolare, e sono stati attivati i protocolli, buona parte delle aziende del settore è intervenuta mettendo in pratica correttamente le misure necessarie. “Fin da subito – continua Cardinali – sono scattate una serie di misure cautelative e bisogna riconoscere che i protocolli di sicurezza sono stati messi in atto da buona parte delle aziende. Tuttavia, va fatta una distinzione tra quelle aziende che hanno coinvolto fin da subito le Rsu e le segreterie sindacali, per la costruzione di questi protocolli di sicurezza, e le altre che hanno agito in autonomia, creando diversi problemi in termini di rapporto e gestione dell’emergenza. Diciamo che si tratta di un 30% di aziende sul totale, soprattuto tra quellle più piccole”.
I comitati di crisi
Per monitorare l’attuazione dei protocolli all’interno delle aziende, sono stati attivati dei comitati di crisi, al cui interno vi erano anche rappresentati dei lavoratori. “La certificazione di avvenuta procedura di sicurezza, nei confronti dei lavoratori – continua Cardinali – nasce dal fatto che sono stati istituti i cosiddetti comitati di crisi all’interno delle aziende. Le riunioni con le Rsu hanno permesso di verificare o intervenire nei casi in cui fosse stato necessario. Tali comitati paritetici (composti da medico di fabbrica, responsabile di produzione, rappresentante della sicurezza dei lavoratori, Rspp aziendale, Rsu, n.d.r.) hanno permesso di fare una gestione puntuale delle criticità. Nelle aziende in cui non sono stati rispettati fin da subito i protocolli siamo intervenuti, su sollecitazione delle Rsu. In che modo? Abbiamo chiesto un incontro all’azienda, evidenziando i problemi emersi e sollecitando la messa in pratica di un protocollo adatto”.
Costi elevati e paura
All’origine della mancata attuazione dei protocolli di sicurezza di alcune aziende, c’è la questione dei costi di adattamento della produzione. “All’inizio, le aziende più restie ad attivare i protocolli lamentavano soprattutto i costi troppo alti necessari per sostenere l’attuazione delle norme di sicurezza. Tali costi prevedevano, per esempio, l’attivazione di alcune attività tra cui l’acquisto di mascherine per tutti, l’implementazione di orari di lavoro flessibili per favorire il distanziamento, oltre alla segregazione delle attività lavorative d’ufficio”.
Negli stabilimenti della Lombardia, cuore del contagio da coronavirus, invece le criticità maggiori sono sorte tra i dipendenti, soprattutto quelli impiegati negli impianti di produzione. Spiega ancora Cardinali: “Negli stabilimenti di produzione in Lombardia gli attriti si sono avuti per un altro motivo: i lavoratori erano preoccupati del contagio e ci sono stati problemi a garantire la produzione soprattutto nella fase iniziale dell’emergenza sanitaria”
La nuova fase
“Più che una fase 2 la chiamerei fase 1 bis”, sottolinea Cardinali. “Di fatto, sempre per via dell’articolo 14 del dpcm ‘Cura Italia’ che prevede la continuità produttiva delle aziende farma e device, le due fasi sono sostanzialmente sovrapposte. Il nostro compito adesso è realizzare dei protocolli che si adattino a questa nuova fase. Prendendo atto del fatto che le condizioni sono migliorate, vedi per esempio la facilità con cui si possono reperire i dispositivi di protezione individuale”
Informazione medico-scientifica
Uno dei nodi più intricati della fase due riguarda l’attività di informazione scientifica, al centro del dibattito tra industria e parti sociali. Tanto che lo scorso 13 maggio, Farmindustria e le organizzazioni sindacali Filctem, Cgil-Femca, Cisl Uiltec hanno diffuso una nota congiunta, in cui sollecitano Governo ed enti locali a garantire un quadro uniforme della ripresa delle attività di informazione diretta.
Gli attori coinvolti – si legge nella nota– hanno condiviso che l’informazione medico scientifica, coerentemente con il diritto/dovere di informazione che spetta alle imprese farmaceutiche, riveste un ruolo fondamentale per tutti gli operatori sanitari e per la salute della popolazione, oltre che per l’occupazione di elevata qualità, che unisce competenze tecniche e relazionali.
Informazione da remoto
Nell’attuale contesto emergenziale – continua la nota – le imprese del farmaco stanno garantendo la continuità dell’informazione scientifica adottando modalità di confronto da remoto, secondo le disposizioni impartite dalle autorità istituzionali di livello nazionale e locale. Modalità di lavoro che, anche se in questo momento storico risulta il principale canale di interfaccia con gli operatori sanitari, le parti condividono non porsi in alternativa all’attività di informazione scientifica diretta, quanto piuttosto come eventuale strumento complementare e quindi integrativo della stessa.
Verso un ritorno all’informazione diretta
In vista di una quanto più prossima ripresa delle attività di informazione scientifica diretta – prosegue la nota – si registrano, inoltre, provvedimenti non coordinati a livello locale sia sotto il profilo delle modalità di svolgimento dell’attività e sia riguardo alle indicazioni temporali, per un ritorno sicuro e graduale alla normalità. Pertanto – conclude il documento – le parti, avviando un percorso di confronto continuo per monitorare gli sviluppi sul tema sollecitano anche attraverso incontri dedicati, che Governo ed enti locali possano:
- garantire, specie nella fase emergenziale, approcci omogenei nei contesti regionali, per facilitare lo svolgimento da remoto dell’attività di informazione medico scientifica;
- avere un quadro possibilmente uniforme o comunque ben definito, sulla base di parametri scientifici, della ripresa delle attività di informazione medico scientifica diretta
- definire, in maniera uniforme, le misure a carattere temporaneo di prevenzione e per lo svolgimento dell’attività diretta, quali condizioni per la massima tutela e sicurezza dei lavoratori, medici e pazienti.
Cassa integrazione, ma non troppo
“Tra aprile e maggio – puntualizza Cardinali – alcune aziende hanno approfittato delle opportunità della cassa integrazione per mantenere i lavoratori sul campo. In questo modo si è passati alla cosiddetta formazione da remoto. E qui sono iniziati i problemi, perché si tratta di un’attività poco normata, che ha comportato anche comportamenti difformi da parte delle aziende. C’è poi addirittura chi, durante la fase uno, ha spinto e pressato i lavoratori ad essere molto più pungenti nei confronti dei medici, mettendo i lavoratori stessi in difficoltà. Per questo motivo, le stesse aziende hanno fatto ricorso alla cassa integrazione come una sorte di “punizione” nei confronti di chi sosteneva di non poter rispettare le direttive aziendali”.
Il segmento Cdmo
Dinamiche simili a quelle fin qui descritte si sono verificate nel mondo della Cdmo (Contract development and manufacturing organization), una volta conosciuto come conto terzi, Nel mondo farmaceutico la sicurezza è sempre stata un must”, spiega Giorgio Bruno, presidente gruppo Cdmo – specialisti della manifattura farmaceutica – di Farmindustria. “Nel nostro campo, una volta scoppiata l’emergenza Covid-19, c’è stata un’attenzione particolare nei confronti dei protocolli di sicurezza. Fin da subito abbiamo capito che sarebbe stato necessario riorganizzare tutte le nostre attività e rivedere i nostri parametri, per non far mancare i farmaci sul mercato. Abbiamo fatto anche un investimento grosso in comunicazione, con l’obiettivo di informare i dipendenti sia con riunioni di persona sia con cartellonistica specifica”.
Riguardo al passaggio alla fase due, Bruno ritiene si tratti ormai di “una condizione consolidata. Tuttavia continuiamo a vigilare sul tema del distanziamento sociale e verifichiamo che le aziende rispettino i protocolli. Ci va riconosciuto che, nonostante tutti i cambiamenti, non abbiamo perso volumi produttivi. I protocolli sono diventati ormai parte della nostra vita quotidiana e non abbiamo intenzione di abbassare la guardia proprio ora”.
Verso un patto per la salute
Con la fine del lockdown si pensa anche ad iniziative significative per il rilancio di tutta la filiera. Come spiega, in conclusione, il segretario generale di Uiltec Paolo Pirani. “L’idea che abbiamo lanciato è quella di un ‘patto per la salute’, in grado di rilanciare tutta la filiera: dalla produzione del farmaco alla ricerca, fino all servizio sanitario. Si dovrà intervenire anche dal punto di vista ospedaliero, potenziando la medicina sul territorio e alimentando al tempo stesso la cultura della sicurezza e della salute all’interno di tale rete. Tutto questo filone dovrà essere supportato anche da fondi europei, che faranno da spinta propulsiva a uno dei settori con il maggior potenziale di crescita”.
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