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La responsabilità sociale secondo Novo Nordisk
Accesso facilitato ai farmaci nei Paesi a basso e medio reddito, programmi di educazione sanitaria e grande attenzione all’ambiente e all’economia circolare. Drago Vuina, capo della filiale italiana della multinazionale danese, leader nel campo della diabetologia, spiega quali sono gli impegni che la società sta portando avanti nel mondo e in Italia. Dal numero 180 del magazine. *IN COLLABORAZIONE CON NOVO NORDISK

La responsabilità sociale è una cosa seria e per più di un motivo. In Novo Nordisk l’impegno non si esaurisce solo nella produzione e distribuzione di farmaci (in ambito diabetologico, obesità, emofilia e disturbi della crescita) ma anche nei confronti della società attraverso iniziative di prevenzione, accesso alle cure e innovazione tecnologica. Nel fare questo, però, l’attenzione è sempre rivolta all’economia circolare in questo l’azienda evidenzia le sue origini danesi, cioè tutela dell’ambiente attraverso un programma innovativo a impatto zero in cui la produzione avviene solo da energia rinnovabile.
Drago Vuina, dal 2018 General Manager di Novo Nordisk Italia, nell’intervista che segue, parla ampiamente dell’impegno dell’azienda sia a livello nazionale che nel resto del mondo. Alcuni esempi di impegno: facilitare l’accesso ai farmaci in 76 Paesi a medio e basso reddito, fronteggiare le crisi umanitarie in partnership con la Croce Rossa internazionale e tutelare la popolazione più fragile durante l’emergenza Covid-19 nel nostro Paese.
Come si sposa la responsabilità sociale con le vostre attività di business?
Da quasi 100 anni la nostra azienda ha come scopo quello di “promuovere il cambiamento per sconfiggere il diabete e altre gravi malattie croniche” e questo è alla base del nostro impegno sociale. Noi produciamo oltre la metà dell’insulina mondiale, ma sviluppare e produrre farmaci non è sufficiente. Vogliamo contribuire ad affrontare una della più grandi sfide sociali; il diabete. Oggi questa malattia colpisce 1 persona su 11 nel mondo e ne colpirà 1 su 9 nel 2045.
Ma ciò non basta: secondo “la regola dei mezzi” nel mondo, solo il 50% delle persone con diabete di tipo 2 sa di avere questa malattia e la metà di questi non ha accesso alle cure. Una situazione alla quale non si può essere indifferenti. L’impatto sociale del diabete è in aumento in ogni parte del mondo, nonostante gli sforzi collettivi per combatterlo. Il Covid-19 ha evidenziato solo la portata del problema delle malattie croniche e quindi del diabete e l’urgente necessità di un rinnovato impegno per affrontarle.
In ambito diabetologico avete messo in campo “Defeat Diabetes”, un progetto che mira a garantire maggiore accessibilità all’insulina in 76 Paesi a medio-basso reddito. Di cosa si tratta?
Fornire supporto ai pazienti più vulnerabili è il fulcro della nostra responsabilità sociale e l’accesso alle cure è una delle tre aree di intervento e riconosciamo che il prezzo è un problema per molti paesi a medio-basso reddito. Negli anni abbiamo ridotto il prezzo dell’insulina umana da 4,5 dollari a fiala, a 4 dollari nel 2016 fino a 3 dollari quest’anno (2020). Il nostro impegno è quello di continuare a rivedere i prezzi su base annuale, oltre ad agire su dazi doganali e commissioni di distribuzione. L’altra area di intervento è la prevenzione dove accelereremo le nostre attività per ridurre il numero crescente di nuove diagnosi. Infine, l’innovazione e penso alle soluzioni digitali w all’intelligenza artificiale.
Quindi combattere il diabete identificando le categorie fragili …
Sì, questo è il principio. La vulnerabilità ha molte facce e i bambini con diabete di tipo 1 che vivono in paesi con medio-basso reddito sono fra i più vulnerabili. Il progetto “Changing diabetes in children” avviato nel 2009 sviluppa programmi di educazione e formazione attraverso partnership con i governi locali. Oggi il programma assiste circa 25 mila bimbi in 14 nazioni, ma entro il 2030 il nostro obiettivo è di raggiungerne 100 mila. La nostra ambizione è quella che nessun bambino muoia più di diabete tipo 1.
Tra l’altro molti Paesi a medio e basso reddito sono spesso teatri di guerra, nei quali è più difficile operare in campo sanitario. Da anni voi cooperate con la Croce Rossa per supportare le cure…
Anche questo fa parte della nostra responsabilità sociale. Nel mondo ci sono 65 milioni di persone che fuggono dalle guerre. Il Comitato internazionale della Croce Rossa è da sempre al fronte per supportare le persone in difficoltà e la collaborazione con loro è un eccellente veicolo per aiutare chi ha bisogno. Pensi che cosa significhi avere una malattia cronica che necessita di trattamenti quotidiani durante un conflitto. Da parte nostra cerchiamo di facilitare l’accesso ai medicinali grazie al supporto della Croce Rossa internazionale. In aggiunta a ciò, supportiamo anche finanziariamente programmi sanitari.
Il vostro impegno non si esaurisce con programmi sanitari tout court, ma anche in iniziative mirate a una maggiore consapevolezza ambientale. Il progetto “Circular for zero” va in questa direzione?
Noi serviamo 30 milioni di persone nel mondo e per fare questo produciamo moltissimo, consumando un grande quantitativo di energia e di acqua. Già dagli anni ’80 abbiamo iniziato a riciclare l’acqua nella gestione dei nostri impianti. Con “Circular for zero” puntiamo all’impatto zero e vogliamo che i nostri pazienti e clienti sappiano che i nostri prodotti hanno origine da processi di questo tipo. In Danimarca e in Cina usiamo solo energia eolica, così come negli Usa quella solare e in Brasile quella idrica.
Possiamo quindi affermare che da quest’anno tutta l’energia per la nostra produzione derivi solo da energia rinnovabile. Ma anche questo non è sufficiente e puntiamo anche a eliminare ogni rifiuto e ogni spreco, coinvolgendo anche altri attori della filiera per raggiungere l’obiettivo di impatto zero attraverso l’economia circolare. Non dobbiamo cambiare solo noi, ma devono cambiare anche gli altri.
Sta cambiando anche il vostro modello di operare? In quanto tempo?
Sì. Nel campo del business management e nei trasporti puntiamo a raggiungere l’obiettivo entro il 2030, mentre per la produzione ci orientiamo intorno al 2035.
A pochi mesi dalla fine del lockdown è possibile già fare qualche bilancio. Qual è stato l’impegno dell’azienda durante la pandemia di Sars-Cov-2?
Durante l’emergenza ci siamo assicurati innanzitutto che i nostri farmaci arrivassero a tutte le persone che ne avevano bisogno e parallelamente abbiamo tutelato la salute e la sicurezza dei nostri dipendenti e supportato alcuni ospedali impegnati in prima linea, oltre ad intensificare il supporto a medici e pazienti attraverso Patient Support Programs dedicati di assistenza e sostegno.
Ma abbiamo creato anche un percorso di counseling per aiutare il medico a comprendere le emozioni dei loro pazienti. Sin dai primi giorni ci siamo subito attivati per fare qualcosa per la comunità e contribuire così a superare l’emergenza coronavirus, partendo sempre dalla popolazione più vulnerabile.
In concreto, cosa avete fatto?
Poco dopo l’inizio del lockdown ci siamo resi conto che le persone più esposte all’infezione erano gli anziani che, purtroppo, durante la quarantena, sono stati spesso lasciati soli, incapaci di contattare i familiari o altre persone care. Inoltre, in questo periodo, gli anziani sono stati bombardati da un gran numero di notizie, molte delle quali si sono rivelate false e fuorvianti. Per questo abbiamo collaborato con CittadinanzAttiva affinché nessun cittadino restasse indietro e con Senior Italia in una campagna di comunicazione per trasmettere loro le informazioni corrette, oltre all’attivazione di un numero verde di ascolto attivo.
C’era bisogno di farli sentire più sicuri. In riferimento a persone con diabete, è noto che le complicanze possono essere molto pericolose se associate all’infezione da coronavirus. Per questo motivo abbiamo avviato una serie di iniziative volte a dare informazioni su come comportarsi data l’impossibilità di andare in ospedale e avere tutti i servizi che avevano prima.
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