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Immunoglobuline, sinergie contro le carenze
L’impatto della pandemia sulla raccolta del plasma, soprattutto negli Usa, può avere ripercussioni negative sulla produzione dei farmaci che vengono utilizzati anche dai pazienti italiani. Nel nostro Paese è attivo un gruppo di lavoro. Schmitt, ad CSL Behring: “Bisogna sostenere la plasmaferesi”. Dal numero 187 del magazine. *IN COLLABORAZIONE CON CSL BEHRING

Per assicurare le terapie giuste a un paziente con immunodeficienze primitive servono 130 donazioni di plasma all’anno. Dopo aver raccolto questa preziosa risorsa biologica, trascorrono da 7 a 12 mesi prima che il farmaco plasmaderivato “finito” arrivi a chi ne ha bisogno. Se la pandemia riduce le donazioni, com’è accaduto a livello globale nel corso del 2020 e nei primi mesi del 2021, il rischio carenze è dietro l’angolo. Per questo motivo istituzioni e aziende del settore lavorano a un fronte comune per scongiurare problemi con le forniture di plasmaderivati, in particolare di immunoglobuline. Si è insediato nel mese di novembre 2020 il “Gruppo di lavoro sulle immunoglobuline” a cui partecipano Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), Centro Nazionale Sangue (CNS), Regioni e aziende. La raccolta complessiva di sangue (non solo plasma) in Italia è calata, secondo il CNS, del 2% tra il 2019 e il 2020. A gennaio 2021 la riduzione è stata del 13,5% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
La voce dei pazienti
Fra gli obiettivi, c’è quello di dialogare con le associazioni di pazienti. “La nostra preoccupazione principale è il rischio che, nel prossimo biennio, i pazienti con immunodeficienze primitive restino senza cure. Per noi le immunoglobuline sono farmaci salvavita, perché non ci sono alternative e ci preservano da tante altre patologie e da rischi”, racconta Alessandro Segato, presidente dell’Associazione italiana Immunodeficienze Primitive (AIP). “In questo periodo, caratterizzato da significative restrizioni, anche nell’accesso alle strutture di raccolta di plasma e sangue, le donazioni hanno visto una lieve diminuzione, anche in ragione delle naturali difficoltà organizzative. Le associazioni di donatori e le istituzioni – ricorda Segato – hanno fatto tutto il possibile per garantire le donazioni nel modo migliore possibile. Il contesto straniero, dal quale l’Italia approvvigiona a mercato circa il 20% delle immunoglobuline che non riesce a garantire dalle donazioni del contesto italiano, ha avuto riduzioni molto rilevanti, a riprova che il sistema plasma e sangue Italia e la solidarietà degli italiani è grandiosa”.
Con l’apertura del tavolo sulle immunoglobuline, l’allarme dell’AIP – e di altre associazioni di pazienti e donatori – è stato accolto dalle istituzioni. “Ci hanno ascoltati. AIP è stata prima audita e successivamente ha partecipato al tavolo. I lavori hanno prodotto un documento, in via di formalizzazione, in cui si individuano in caso di carenza di prodotto alcune priorità terapeutiche per quelle patologie per cui il prodotto plasmaderivato o immunoglobulina umana è terapia salvavita e non ha alternative terapeutiche. In cima alla lista ci sono le Immunodeficienze primitive. Per noi è fondamentale ed è l’esito di un gioco di squadra – conclude Segato – che testimonia la capacità di fare rete e la coesione del sistema plasma e sangue in Italia”.
Il sistema italiano
In Italia abbiamo un Programma nazionale pluriennale dedicato al plasma e ai medicinali plasmaderivati, che assegna obiettivi quantitativi e qualitativi alle Regioni, prevede indicatori di monitoraggio e individua le linee strategiche. Nel nostro Paese, il plasma raccolto dai donatori è sufficiente a coprire circa il 75% del fabbisogno nazionale di immunoglobuline, con differenze marcate tra Regioni. La parte restante viene reperita sul mercato internazionale e il 67% del plasma utilizzato per la produzione viene raccolto negli Usa, dove vige un sistema completamente differente da quello italiano: nel nostro Paese la donazione è un gesto volontario e gratuito, negli Usa la raccolta è affidata ai privati e la donazione viene ricompensata.
“In Italia i Centri trasfusionali regionali raccolgono circa 860.000 chili di plasma all’anno – afferma Oliver Schmitt, amministratore delegato di CSL Behring – che poi vengono trasformati in proteine terapeutiche. Grazie a questo sistema, è stato raggiunto un alto grado di autosufficienza. Una parte del fabbisogno viene coperta ricorrendo al mercato. Per molte proteine plasmatiche l’autosufficienza è stata raggiunta da molto tempo, ma non è così per le immunoglobuline polivalenti, riconosciute anche dall’OMS come medicinali essenziali. Per questi prodotti da anni assistiamo a un gap crescente tra uso clinico in aumento e gradi di copertura della produzione nazionale”. In altre parole: serve più plasma. “Per aumentare la raccolta bisogna sostenere la plasmaferesi. In Italia mediamente si dona molto più sangue intero che plasma e questo significa donare al massimo quattro volte all’anno, 450 ml per donazione. La donazione di plasma, invece, è di circa 600 ml per donazione e può essere fatta più frequentemente, fino a due volte al mese, cioè 24 volte all’anno”, sottolinea Schmitt.
Negli Usa, dove ci si affida al privato, il plasma viene raccolto da aziende come CSL Behring. “Ogni anno la nostra azienda apre 30-40 nuovi centri di raccolta plasma per poter soddisfare il fabbisogno di immunoglobuline a livello globale. Anche durante questa pandemia, mentre la raccolta dei singoli centri è ridotta, abbiamo continuato a investire. Allo stesso tempo, continuiamo a investire nel miglioramento dei processi produttivi per aumentare la percentuale di estrazione di immunoglobuline per litro di plasma”.
In Italia la raccolta è affidata ai Centri trasfusionali e alle Associazioni. In quattro Paesi europei (Germania, Austria, Ungheria e Repubblica Ceca) vige un meccanismo diverso: la donazione è volontaria, ma “compensata”. “Questi Paesi hanno affrontato la sfida dell’autosufficienza con un modello diverso. Facendo lavorare insieme Centri Trasfusionali, Associazioni e privati, in quei paesi si raggiungono risultati migliori”, sostiene Schmitt.
La sostenibilità
C’è poi la sfida della sostenibilità per le aziende che lavorano in questo campo. “La produzione di plasmaderivati – ricorda Schmitt – è un processo lungo e complesso. Materia prima e lavorazione rappresentano circa il 60% dei costi, contro il 14% che si calcola normalmente per un farmaco di sintesi chimica. Sono prodotti biologici paragonabili ai vaccini. Tuttavia, mentre i vaccini, così come i plasmaderivati da Programma nazionale sangue, sono esentati dal payback ospedaliero, i plasmaderivati commerciali subiscono in pieno l’impatto di questo maccanismo. Un’esenzione migliorerebbe sicuramente la sostenibilità delle aziende produttrici”.
L’impegno contro Covid
Dall’inizio della pandemia il plasma è protagonista delle cronache anche per un suo potenziale impiego contro Covid-19. “Quando parliamo di plasma e Covid – chiarisce Schmitt – parliamo di due approcci differenti. Da un lato, lo studio sull’utilizzo del plasma iperimmune che viene somministrato direttamente ai pazienti. Dall’altro, l’uso di immunoglobuline polivalenti iperimmuni, derivanti da pazienti che hanno superato la fase critica della malattia, per lo sviluppo di farmaci”.
La ricerca di una risposta alla pandemia ha spinto le aziende del settore verso una collaborazione senza precedenti: “Come industria abbiamo messo insieme tutte le forze per raccogliere plasma iperimmune. L’obiettivo è arrivare a un farmaco con immunoglobuline iperimmuni anti-coronavirus (H-Ig), ora in fase 3 di sperimentazione. CSL Behring è leader, alla pari con Takeda, della CoVIg-19 Plasma Alliance, a cui hanno aderito anche altre aziende”. Lo studio clinico di fase 3, sponsorizzato dallo statunitense National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), coinvolge 500 pazienti in tutto il mondo.
In collaborazione con CSL Behring
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