Test antigenici: osservati speciali a causa delle varianti del Sars-Cov-2
I problemi sono fondamentalmente due. Il primo è che i test antigenici per l’identificazione del Sars- Cov-2 – soprattutto quelli non di ultima generazione – hanno una scarsa sensibilità, che comporta un alto rischio di avere un falso negativo o positivo in alcuni contesti. Il secondo è la comparsa delle tanto temute quanto ormai note varianti, che potrebbero falsare il risultato del test. Sono queste le premesse che hanno portato il ministero della Salute, lo scorso 15 febbraio, ad aggiornare con un addendum una precedente circolare ministeriale dell’8 gennaio 2021, in cui i test antigenici venivano consigliati come utile strumento per lo screening di popolazione. Nessun ripensamento, però, come conferma Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (Amcli) che precisa: “il test antigenico è utile sugli asintomatici, la circolare ne specifica l’utilizzo, la circolare ne specifica l’utilizzo, non ne mette in dubbio l’uso”
Generazioni differenti
La prima precisazione è che esistono sul mercato test antigenici con performance diverse, che perciò vanno utilizzati in contesti differenti. Nello stesso addendum alla circolare vengono distinti test di prima, seconda e terza generazione, rispettivamente test immunocromatografici lateral flow, test a lettura in fluorescenza e test in microfluidica con lettura in fluorescenza. Inoltre sono oggi disponibili test antigenici da eseguire in laboratorio, basati su sistemi di rilevazione in chemiluminescenza, con performance sovrapponibili a quelle dei test antigenici di “terza generazione” (test in microfluidica con lettura in fluorescenza), che sembrano essere particolarmente indicati per la gestione di screening all’interno di strutture ospedaliere.
Proprio queste ultime categorie a maggiori prestazioni – i test antigenici non rapidi (di laboratorio), i test antigenici rapidi con lettura in fluorescenza e quelli basati su microfluidica con lettura in fluorescenza, con una specificità ≥97% (comune anche ai test meno performanti) e requisiti di sensibilità più stringenti (≥90%) – sarebbero attualmente i migliori disponibili sul mercato con risultati sovrapponibili ai saggi di RT-PCR (il tampone molecolare), da utilizzarsi, secondo le indicazioni ministeriali in contesti a bassa incidenza, in modo da essere in grado di rilevare anche basse cariche virali. “Sono test che utilizzano sistemi immuno enzimatici a lettura su apparecchio e non quella sorta di saponetta” spiega Massimo Andreoni, direttore della UOC Malattie Infettive al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit). “Hanno una discreta sensibilità e sono utilizzati anche negli ospedali”.
Il doppio test
La seconda precisazione riguarda la raccomandazione del ministero di eseguire un tampone molecolare di conferma (a oggi ancora il gold standard per la diagnosi di infezione da Sars-Cov-2) o, in alternativa un test antigenico differente possibilmente di ultima generazione, per confermare: un risultato positivo da test antigenico in un contesto a bassa prevalenza, per eliminare la possibilità di risultati falsi positivi; o un risultato negativo da test antigenici eseguito su pazienti sintomatici o con link epidemiologico con casi confermati di Covid-19, per scongiurare ipotetici falsi negativi.
Questo perché – come si legge nella circolare dell’8 gennaio – in un contesto ad alta prevalenza, i test antigenici rapidi avranno un valore predittivo positivo (Ppv) elevato (dipende dalla prevalenza della malattia nella popolazione target e dalle prestazioni del test). Pertanto, è probabile che la positività sia indicativa di una vera infezione, non richiedendo conferma con test RT-PCR. Viceversa, in un contesto di bassa prevalenza, i test antigenici rapidi avranno un valore predittivo negativo (Npv) elevato ma un Ppv basso. Pertanto, se utilizzati correttamente, i test antigenici rapidi in un contesto a bassa prevalenza dovrebbero essere in grado di rilevare un caso altamente contagioso, ma se così, un risultato positivo richiederà una conferma immediata.
L’incognita varianti
La terza precisazione infine riguarda le varianti: “Il cambiamento nella situazione epidemiologica dovuta alla circolazione di nuove varianti virali, non poteva non essere prese in considerazione” si legge nell’addendum redatto dall’Iss del 15 febbraio. Anche se al momento la maggior parte delle mutazioni riscontrate nelle varianti – da quella inglese alla brasiliana – si trovano sulla proteina spike (S), nota per essere usata dal virus come chiave di ingresso nelle cellule umane, e non sulla nucleoproteina (N), che è il principale antigene target dei test antigenici. Ma, “la possibilità che qualche test antigenico possa non rilevare una variante esiste” afferma Andreoni.
Anche perché come confermano i due esperti, iniziano a comparire varianti che presentano mutazioni anche sulla nucleoproteina, che devono essere attentamente monitorate. “Siamo in una fase della pandemia in cui circolano varianti ‘pericolose’ perché a maggior diffusione” continua l’infettivologo. “Motivo per cui può valere la pena continuare l’indagine diagnostica per essere sicuri di essere di fronte a una positività dovuta a una variante”. Inoltre esiste la possibilità che tali mutazioni si sommino: “Già le varianti brasiliana e sudafricana hanno sommato ulteriori mutazioni su quelle presenti sulla variante inglese. Sono dunque un pochino più complesse nell’ambito del quadro mutazionale” precisa Andreoni. “È un quadro in divenire, il virus replicandosi inevitabilmente muta dando origine a varianti. Per questo bisogna cercare di ridurre la sua circolazione, anche perché potremmo andare incontro a mutazioni deleterie”.
Osservati speciali
Nonostante questo i test antigenici attualmente in uso possono essere considerati attendibili, soprattutto quelli utilizzati negli ospedali. “È chiaro poi che nell’eventualità si sommino più mutazioni o delezioni, alcuni test potrebbero risultare inefficaci – riferisce Clerici – però la sensibilità oggi è ancora stimata intorno al 90% se non di più, per cui son test diagnostici affidabili”. “L’’aggiornamento della circolare (a cui hanno contribuito anche società scientifiche ed enti competenti come Amcli, Società Italiana di Microbiologia (Sim), l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e l’IRCCS Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” ndr) – chiosa l’esperto – è stato reso necessario dalla comparsa di varianti e dall’aggiornamento delle tecnologie. Il ministero deve continuare a vagliare e probabilmente questo non sarà neanche l’ultimo addendum, perché purtroppo, in alcuni casi, le modifiche indotte dalle varianti possono rendere un test, non dico inefficace, ma poco performante, con una risposta ridotta”.
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